FOTOGRAFIE DALLA GUERRA

La gioia del matrimonio svanì e l’incertezza e l’angoscia ne cancellarono persino il ricordo. Per angela iniziò il tempo dell’attesa, delle privazioni e del dolore.

Dal libro *Angela (gli eredi dei Messapi):

 

«Come piccoli granelli di polvere, nell’universo degli eventi catastrofici che scossero il mondo, Angela e Gaetano si persero completamente di vista. Lei rimpianse il tempo in cui le bastava scrivere sulla busta “dragone Borbone Gaetano, quarto battaglione, posta militare, Roma” e imbucare le lettere perché lui le ricevesse. “Ti amerò sempre” lui le aveva detto, mentre si allontanava. Lei cercava di lenire la disperazione, richiamando quelle parole alla memoria ripetutamente, quando le notizie che carpiva alIa gente buona del paese non facevano che lacerarle il cuore.»

Nella sua casa esposta alle intemperie Angela sfidava il fischio tagliente della tramontana e le tempeste violente del ponente che infuriavano attorno al suo corpo e ancor di più nel suo cuore tormentato dal timore che il suo dragone potesse perire in guerra. “Signore, salvalo!”, pregava, “Se lui si trova a destra, fa’ che le bombe cadano a sinistra e viversa… Fa’ che torni e che torni mio fratello e tornino tutti i figli di mamma.”
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Dietro la finestra, che tanti cuori infranti avevano desiderato veder aprirsi, durante le molte serenate, nel quarto a lei destinato, sul lato Est della casa, Angela dormiva sonni abitati da incubi e preghiere. Il forno accanto all’ingresso aveva dimenticato i profumi e le abbondanze sfornate per il matrimonio di Angela e Gaetano; non ardeva più per celebrazioni e feste e tristemente si riempiva di pagnotte, nelle rade panificazioni della sopravvivenza.

E… tempo giunse in cui il conflitto deflagrò come un incendio inarrestabile, chiudendo Angela e il suo mondo fuori dal mondo, in attese eterne senza più spiragli.

 

Fu il dopoguerra a dare, con le fotografie di fortuna, consistenza documentale ai racconti occasionali dei sopravvissuti.Quelle sottostanti furono ciò che della guerra Angela trovò nella valigia di Gaetano.

Campagna dei Balcani/ritorno dal fronte. Nella foto Gaetano è il secondo in piedi, da destra.
Scritta sul retro della foto : “Ricordo del giorno 9 dicembre 1941. Primo attacco ai ribelli, ci sono stati tre feriti.”
Campagna-dei-balcani. Gaetano è il-primo,da-destra, con un ginocchio a terra,in-basso.
Campagna dei Balcani/ postazione mitraglieri. Gaetano è tra i soldati del turno di notte, che stanno recuperando qualche ora di sonno e si sollevano da terra per la foto. È il secondo da destra, dietro.
Gaetano era un cavaliere capace di eseguire acrobazie incredibili, sul cavallo e con il cavallo, e di galoppare in gara con il vento. Era un intenditore di cavalli, con i quali stabiliva una sintonia perfetta e saltava ostacoli leggendari. Ha vinto varie gare ippiche e anche una medaglia d’oro per il salto agli ostacoli. A dx: retro di questa foto.
Sul retro si legge: Bihac. 17. 3. 42, Cavallo Soriano La scritta nera cancellata fa pensare a un lapsus sul nome del cavallo, il resto è illeggibile. Bihac oggi è nella Bosnia Erzegovina.

Nella campagna dei Balcani Gaetano venne insignito di una Croce di Guerra per la campagna di Albania, una per quella di Grecia e una per quella di Jugoslavia, tre CROCI DI GUERRA, che lui non esibì mai nella sua vita e conservò per decenni, finché, dalla scrivania del suo ufficio in Comune, qualcuno le trafugò per esibirle eventualmente e ricavarne gli emolumenti che Gaetano non aveva mai richiesto. Lui era così: un generatore di energie e un polo di fratellanza umana, un idealista e un sognatore che non attribuiva gran valore ai beni materiali. Al momento del congedo, a nome della patria, gli venne consegnato un assegno senza scadenza, da pagare a vista, emesso il due dicembre del 1944, a Torino, dalla Banca d’America e d’Italia, per un importo di L. 500. Quella cifra, con cui si ricompensava lo sconvolgimento totale della vita, i patimenti e il rischio quotidiano di morte, valeva un quarto degli stipendi medi di quel tempo che, nelle grandi città del Nord italiano, si aggiravano attorno a L.2000, e anche un quinto o meno dei salari degli operai specializzati. Gaetano avrebbe potuto realizzare, comunque, qualcosa di importante con quel denaro, perché nel Sud, invece, valeva una fortuna, ma… lui ricevette l’assegno come un riconoscimento, lo piegò con riguardo, lo mise nel portafogli e lo tenne sul cuore per tutta la vita, come un pezzo della bandiera che aveva servito senza chiedere né aspettarsi nulla in cambio.

Lì lo trovò sua figlia, che lo incorniciò e lo appese alla parete del suo studio, quando un malore improvviso recise la vita di Gaetano, a sessantotto anni.

Questa è una delle foto date a Gaetano in segno di stima da un ufficiale, che firma la foto sul retro, come si vede qui accanto.
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Retro della fotografia.
Questa foto Gaetano la riceve dagli amici, il cui nome viene doverosamente immortalato sul retro, come testimonianza della loro esistenza in vita in quel momento, a dispetto della sopravvivenza incerta del domani.
Retro della foto degli amici.
Questa foto non ha nome, ma viene chiaramente affidata a Gaetano perché la consegni al recapito scritto sul retro.
Retro della foto con destinatario.
Questa è una doppia foto con scritta sul retro di entrambe, con probabile tacito accordo di consegnarne una alla famiglia, in caso di morte in guerra.
Retro della prima foto. Noi non sappiamo quale dei soldati nella foto sia Bellettino Giuseppe di Trevigno, ma è sicuramente uno dei soldati a cavallo, dato il riferimento alla cavalla Tressa.
Seconda foto di Bellettino Giuseppe.
Retro della seconda foto di Bellettino. La scritta dice: “Gruppo di dragoni combattenti dell’Albania. Fatta la fotografia a Tirana.
Foto da consegnare alla famiglia di uno dei soldati fotografati, che sono del Sud italiano come Gaetano e sicuramente suoi conoscenti ma appartenenti ad altra arma. Posano i soldati, per essere immortalati come vogliono essere ricordati, perché per gli uomini in guerra le foto assumevano il ruolo vitale di sentinelle della loro identità, di lascito per le famiglie e di testimonianza per il futuro. Dalla scritta sul retro si capisce che l’interessato avrebbe voluto mandare ai suoi cari una foto memorabile.
Retro della foto accanto. Molti soldati imparavano il meccanismo della scrittura sotto le armi, dove qualche sergente alfabetizzato formava vere e proprie classi di allievi, che, in seguito, con grande orgoglio scrivevano alle famiglie in un dialetto italianizzato, sentendosi eruditi e non c’è da meravigliarsene, perché erano tempi in cui la gente che firmava con la croce era numerosa in tutte le classi sociali. Colui che destina la foto alla famiglia dice: “Questi sono i paesani che ho qui (con me), tanti. Ve la mando (questa foto) per farvi vedere come le fanno qui le fotografie, che fanno schifo” e aggiunge qualcosa che sembra equivalere a “tanto che non le puoi mostrare a nessuno”.

Consegnare le foto ad altri e scambiarsele con più commilitoni significava aumentare le possibilità che la famiglia ricevesse notizie dal fronte e rappresentava anche una sorta di scaramanzia che somigliava a un’inconscia assicurazione sulla vita o almeno sul ricordo che si voleva lasciare di sé. Le foto consegnate a Gaetano rimasero tutte nella sua valigia. Preso nell’ingranaggio bellico, passò dai Balcani alla Francia, visse lo sfascio generale dell’esercito lasciato allo sbando tra nemici occupati e alleati occupanti diventati nemici. Salvò se stesso, il suo cavallo, i suoi commilitoni e raggiunse i confini nazionali, per attestarsi sul fronte della patria da servire. Non consegnò mai le fotografie che gli erano state affidate e lui stesso non riuscì a comunicare con la sua famiglia; fino al 1945 visse in una sorta di limbo nel quale ogni ora di sopravvivenza era il solo presente da vivere senza aspettarsi un futuro.

Foto doppia, una da consegnare e una da tenere per ricordo.
Retro della doppia foto
Francia- Gaetano è il quarto da destra.

Sul retro Gaetano ha scritto soltanto “Francia”, il suo nome e vi ha aggiunto “e compagni”.

Francia- Gaetano è il terzo da destra in piedi
Retro: “Gruppo vecchi mitraglieri del Genova Cavalleria.”
Gaetano è a destra in piedi

Gaetano fuggì a cavallo dalla Francia, con i suoi commilitoni. Laceri, sfiniti e affamati, a Giaveno furono aiutati e rivestiti dalla comunità, poi entrarono a far parte della metamorfosi dolorosa con cui l’Italia passò dalla guerra di aggressione alla guerra di liberazione, attraverso il comitato di liberazione nazionale simile a un corpo unico dalle membra sparse sul suolo patrio. Braccati dai Tedeschi e costretti alla macchia, agivano di notte e si nascondevano di giorno. Le famiglie mandavano, con grande rischio per la vita, le donne a svolgere incombenze fuori dell’abitato, con gli avanzi del pasto delle loro famiglie nascosti nei cestini. Accoglievano quel cibo fortuito e irregolare come la vera mano della Divina Provvidenza e, spesso, non avevano neppure il tempo di mangiarlo, per sfuggire alla caccia spietata dei Tedeschi. Lo nascondevano freneticamente nelle bisacce della sella o dovunque riuscivano a infilarlo. Coloro che sopravvivevano lo mangiavano di notte, alla cieca, nel buio dei meandri in cui si nascondevano, e spesso, come Gaetano ebbe a raccontare a guerra finita, insieme al cibo mangiavano anche qualche cimice o altri insetti che vi finivano dentro; quando altro non avevano, per non morir di fame, mangiavano le durissime faggiole delle frondose faggete. La storia del periodo che Gaetano passò in Piemonte ha pagine avventurose e aspetti agghiaccianti che Angela scoprì soltanto quando tutto finì. Dal libro “*Angela (Gli eredi dei Messapi)”: «Ho visto giovani morire nel fiore degli anni. Ho visto l’asfalto tingersi del sangue dei miei compagni, quando scendevamo dalla montagna e colpivamo i Tedeschi prima di sparire di nuovo nella macchia. Ho visto i miei amici crivellati come carne sanguinolenta. Ho visto giovani saltare a brandelli, con bombe e granate. Ho vissuto momenti in cui la vita non valeva neppure un bastone vestito. Ma quello che mi ha veramente segnato e che torna nei miei incubi è qualcosa che l’essere umano, in quanto tale, non dovrebbe essere capace di concepire. Ho sempre saputo che le guerre sono brutte e che in guerra si muore, ma ho sempre pensato che morire per la patria dovesse essere un gesto eroico altamente dignitoso. Scoprire che alcuni esseri umani possono usare persino l’inventiva per dare ad altri esseri umani la morte in modo atroce e spaventoso ha spento qualcosa dentro di me. Ho avuto paura di morire durante tutta la guerra, ma, in Piemonte, ho dovuto fare i conti con un altro tipo di paura, una paura subdola che assomigliava alla voglia di vomitare. Gli atti di eroismo sono, in genere, atti di coraggio, questo è ciò che pensano tutti; per me, gli atti di eroismo furono tutti i momenti in cui dovetti espormi al pericolo di morire in modo obbrobrioso. Vedi, avere coraggio vuole dire non avere paura di morire o, meglio, ignorare la paura di morire e accettare l’idea della morte, ma l’idea della morte in guerra ha a che vedere con il dovere verso la patria e verso tutto ciò che la patria contiene. Ciò rientra nelle regole e nelle leggi della guerra stessa. I soldati delle parti avverse si fronteggiano, ammazzano il nemico in battaglia o lo tengono prigioniero quando lo catturano. Questo è ciò che si sa, quando si va in guerra, perciò si pensa che il nemico sia uno come te e che la peggiore cosa che ti possa fare sia fucilarti. Scoprire che può fare cose indicibilmente atroci e che può persino godere nel farle è qualcosa che ti cambia dentro per sempre. Io ho sempre fatto il mio dovere senza odiare il nemico, ma /…/».

Chiudo questo approfondimento con l’immagine che avrebbe dovuto iniziarlo. Gaetano è il primo in basso a destra. Questa foto è stata scattata prima del 10 giugno 1940, a Roma, dove i dragoni conducevano una vita piacevole, tra il servizio e la libera uscita, ancora ignari di ciò che sarebbe accaduto. Era il tempo in cui Gaetano non era ancora sposato e si rifiutava di pensare che l’Italia sarebbe entrata in guerra o forse, proprio pensando alla guerra, uniformava la sua vita al “chi vuol esser lieto sia del doman non v’è certezza”. Quando il congedo giunse, infine, i soldati che si accinsero a tornare ”a casa”non erano più le persone che ne erano partite e non sapevano che cosa vi avrebbero trovato.

La guerra era finita… La pace ritrovata dovette aleggiare a lungo prima di aprirsi un varco tra le popolazioni mondiali circondate dalle rovine, afflitte dalla miseria, trafitte dal dolore per i caduti e destabilizzate dall’ignoto destino dei dispersi.

Il mondo “liberato” si avvolse in cieli dalle realtà conosciute frantumate. Le masse e i singoli dovettero fare i conti con le ombre note e ignote che il passaggio della guerra aveva lasciato fuori e dentro di loro. Angela e Gaetano non fecero eccezione…

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