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APPROFONDIMENTI
COLLANA S.O.S. IDENTITA' MONDIALI

Gerardo Ferrara

Gerardo Ferrara

Scrittore

Recensione di "Strade d'erba"

” A Bruna Spagnuolo, autrice de Le radici dell’erba, da parte di un lettore:

Leggere un libro per me è come intraprendere un viaggio, anche se nel lontano passato non ne ero affatto consapevole.
Un viaggio spesso difficile, segnato da visibili sforzi fisici e interiori per abbattere il muro del bagaglio ideologico costruito, maturato e ritenuto definitivamente acquisito; un viaggio fatto di trepidanti attese, di rivivere “sapori di sere lontane”; un viaggio a volte, sofferente, a volte entusiasmante, a tratti sublime o, anche, pregno della convinzione della sua completa inutilità.
E così…,con le spalle curve , come gravate da un grosso fardello, sono entrato dentro Le radici dell’erba ed ho iniziato, insieme al suo personaggio, il “Viaggio”, ben conscio che esso non mi sarebbe stato affatto facile. Ho accompagnato Ebenyin, quasi mano nella mano, nei suoi primi passi rivestiti di semplicità fattasi importante; provando un non so che di quasi conosciuto e di già vissuto, di appartenenza imperterrito e con senso di sconforto, irritato, ho continuato a seguirlo nel suo indaffarato, primordiale e confuso peregrinare e, man mano che il cammino si snodava dritto o tortuoso davanti a noi, la mia mente ha travalicato continenti, tempi, situazioni…
Ora, se un libro è capace di suscitarti tali sensazioni e reazioni, di certo vorrà dire che è frutto/figlio di un autore di tutto rispetto, valido solo come pochi; un autore però, che per quello che mi risulta, ha cambiato all’occorrenza il suo modo di scrivere da elegiaco, fatalistico, etereo, e da sublime cesellatore dell’animo umano a un ragguardevole creatore di Reportage, pur colorandolo con una scrittura di alta letteratura.
Penso, magari a torto, che l’autrice si sia come messa alla finestra e, standosene discosta, abbia narrato in modo documentato e cesellante il cammino del povero e confuso personaggio, senza provare a prenderlo per mano e senza farci arrivare da parte sua un grido di protesta profonda e di dolore rivolto al cielo.
Il personaggio Ebenyin è il perfetto erede, nonché il frutto naturale della sua terra, l’Africa.
L’Africa, terra che incarna endemicamente la generale e congenita confusione del personaggio del libro, la stessa deprecabilità, la stessa assenza di un target futuro; terra ricettacolo di ogni ignominia, seviziata, violentata, oppressa, arida e senza anima e senza un futuro.
Se l’intenzione dell’autrice era di farci arrivare questo messaggio, vorrà allora dire che c’è riuscita con la sua alta scrittura e che la sua opera aiuterà (voglio sperare e credo sia la volta buona) i milioni di viaggiatori, che intraprendono i loro comodi e superficiali viaggi dal sofà del salotto, a capire ben di più di un mondo ermeticamente e geograficamente loro lontano.
Pervaso da una profonda tristezza, dettatami dall’inesorabile affondare di un mondo, una volta sublime, auguro di contro all’autrice un brillante risultato di divulgazione de Le radici dell’erba.”

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Mariagrazia Zamparini

Poetessa

Recensione di
"Strade d'erba"

“Scrittrice prolifica dotata di una vena feconda dove scorrono in ugual misura capacità d’invenzione e una sensibile (a volte dolorosa) coscienza delle problematiche e situazioni nel mondo, l’autrice dà prova in quest’opera di una maturità stilistica e storica da sottolineare. Stupisce la grande abilità con cui B. S. ha accordato i suoi strumenti e talenti su toni, qui realistici, senza, tuttavia, nulla togliere alla ricchezza emotiva che la connota. È la scrittura che se ne avvantggia e, se, negli altri lavori della Spagnuolo, comparivano aggettivi come –omerica impresa- rappresentazioni epiche e altro, oggi, in quest’ultima pubblicazione, si gusta la misura di una prosa dove affiorano le caratteristiche scritturali di ieri stemperate e come purificate, nello snodarsi di una storia cui avrebbero fatto torto divagazioni pindariche. S’impongono subito doverose chiarificazioni: poesia trapela in ogni capitolo, ma senza invadenza, e la narrazione della vita del protagonista Ebenyin si muove tra solide conoscenze di tipo antropologico e dei mutamenti in atto in Nigeria. Quello di B. S. non è mai l’occhio del turista o dell’uomo “bianco”: a cogliere bellezze, miserie o bisogni è l’occhio dell’essere umano consapevole e alfabetizzato. L’autrice ne emerge come persona che ha saputo affinare strumenti atti a indagare, scoprire la “erba” della memoria dalla parte delle radici, storicizzarla e amarla. Quest’ultima meditata fatica di B. S. è dedicata “agli ultimi della terra”, a quei Nigeriani che non hanno né chiatte compiacenti, né denaro per lasciare l’amata terra dove tuttavia non si sa “la mattina che cosa si mangerà la sera”; è dedicata a una terra di antiche usanze dove gll’interpreti dei sogni e i maghi regolano e influenzano i destini.
L’autrice svela segreti che permangono sotto la sottile coltre di progresso e cambiamento che dovrebbero svilupparsi nelle città cui i giovani approdano con molte speranze e dove incontrano invece lo sfruttamento e il tarlo della nostalgia. La vicenda s’intreccia magistralmente all’ambiente in cui il personaggio cresce e raggiunge la maturità. L’autrice allarga la descrizione “schiudendo finestre impensabili sulle realtà tribali” e svelando risvolti della minoranza Bekwarra assolutamente inediti.
Il libro è dotato di una intelligente introduzione, che si distacca da quelle cui siamo avvezzi: è una vera e propria decodificazione a livello, direi, scientifico, e ben si accorda con un’opera come Le radici dell’erba, in cui ”narrativa e saggistica convolano a nozze con il libro di viaggio.
L’analisi narrativa di questo libro di B. S. affronta anche la semantica delle tradizioni linguistiche e si avvale di un glossario che riassume le parole della lingua bekwarra così bene inserite nell’ambientazione.
L’autrice dichiara che Le radici dell’erba non è un normale romanzo ma un nuovo genere che connota il romanzo con informazioni ignote al mondo e raccolte sul campo per salvare con la scrittura l’identità di un popolo destinato a scomparire nell’oblio più assoluto e che fa del romanzo anche un dossier e un libro di viaggio. Posso perciò affermare che la memoria si è, nell’opera in questione, fatta veramente monumento.
Altre e sapide caratteristiche si potrebbero cogliere e mettere in parole, ma soltanto la lettura diretta di quest’opera può testimoniare dal vivo la genuinità e la profondità del racconto, l’impeccabilità di uno stile che è maturato senza rinnegare i precedenti intriganti lavori letterari della Spagnuolo, della cui varietà e ricchezza avremmo apprezzato leggere in quarta di copertina, ove non ne troviamo traccia.”

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