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APPROFONDIMENTI
COLLANA S.O.S. IDENTITA' ITALICHE

ANGELI IN GINOCCHIO

(La saga del popolo messapico)

APPROFONDIMENTI

La quadrilogia di questa opera ha  la responsabilità della sopravvivenza o della perdita definitiva di usanze, abitudini, saggezze, conoscenza, ricchezze culturali e umane di una parte di umanità totalmente sconosciuta al mondo e non raccolta né registrata altrove.

Angeli in ginocchio (La saga dei Messapi) ospita nelle sue pagine il capitale antropologico e culturale italiano del passato relativo al teatro d’azione dei protagonisti e precisamente la preziosa campionatura rappresentata dai formicai umani vissuti sui contrafforti del massiccio del Pollino. Molteplici sono i personaggi dei vari volumi della saga e irrinunciabile è il canto della loro accorata essenza, ma, in queste pagine, sono le gioie e i dolori e, soprattutto, l’amore grande, imperituro ed epico a chiedere udienza. Vicissitudini e passione, intrighi ed epopee senza limiti, vita e morte, grandezze e squallori trasformano in parola scritta i moti dell’animo, l’incanto dei paesaggi, i passi in cammino e i venti storici che li conglobano nella fatalità di un destino ineluttabile.

Il primo libro, Angela (Gli eredi dei Messapi), è una cassaforte di identità storiche ed etnologiche e uno strumento utile a ricostruire e conservare l’ambiente e le traversie di popolazioni sconosciute al mondo, dimenticate nel divenire generazionale e di non trascurabile valore, in questa epoca che ha sostituito la trasmissione del sapere tra bisnonni, nonni, genitori, figli, nipoti e pronipoti con le finte culture delle cosmesi multimediali. I protagonisti del primo volume giganteggiano per la straordinarietà delle loro caratteristiche e per la storia d’amore con cui devono sconfiggere gli inarginabili eventi storici della seconda guerra mondiale e le altre guerre nella guerra con cui il destino incastona le loro piccole vite negli orizzonti infuocati della scacchiera mondiale e i loro sentieri interiori nelle tortuosità rapportate all’esposizione alla paura, alle privazioni e agli orrori.

Sono contadini, gualani, pastori, taglialegna, braccianti, “mulattieri”, artigiani, dai volti esposti alla furia degli elementi come le scisti dei crinali del Pollino, a fare da sfondo alle vicende intricate della storia d’amore narrata nel primo volume e a ridisegnare per il lettore il profilo delle antiche tradizioni e delle vite passate, che stormiscono nell’attimo letterario ignaro.

Le fontane, gli orti, i castagneti, i boschi, le creste innevate, le cime ventose, i cieli tersi o tempestosi, le aurore e i tramonti indimenticabili si fanno trama di parole e pensieri insieme al lirismo insito nelle grandezze e nelle miserie, nei calli, nelle intemperie e nei valori caldi come i camini accesi. Dialoghi e scambi verbali di gruppo fanno ammenda per l’impossibilità di effettuare un prelievo totale della realtà storica, ambientale e sociale; delineano, puntualizzano, arricchiscono, ampliano e completano il quadro generale del mondo narrato;  si estendono, di volta in volta. alle occasioni proverbiali della narrazione, in modo proporzionato al loro irrinunciabile ruolo, simile a quello che i cori hanno nelle tragedie greche. Ambienti, personaggi ed eventi portano con sé il grido di una realtà passata che non ha più patria nella mente dei giovani e dei bambini del terzo millennio.

Angela è una storia che si svolge in località geografiche chiamate con il loro nome reale, tranne per le contrade originarie dei due protagonistii della complessa storia d’amore, identificate con un nome simbolico, poiché tali località rappresentano non solo l’atmosfera immaginaria, quella che apre alla narrazione e alla fantasia del lettore di qualunque estrazione e di qualunque latitudine, la porta del sogno e della dimensione fiabesca propria della letteratura di tutti i tempi, ma anche la porta invisibile che dorme in ogni mondo reale e che aspetta soltanto di essere risvagliata, per permettere ai “viaggiatori” della mente e della cultura di realizzare tutti i voli e tutte le escursioni cui il loro spirito inquieto saprà dare contorni più o meno onirici o definiti.

Questo romanzo fornisce, con le introspezioni profonde e i mosaici, di luoghi e di genti, trapunti qua e là dalla preziosa connotazione dei regionalismi, una raccolta pregiata di radici già svanite nel tempo che fu; evidenzia i paradossi di un progresso che non riesce a combaciare con la civiltà e porta a riflettere sulle saggezze dimenticate da accendere come lampade sugli errori sociali e storici da non ripetere. Questa prima sezione della raccolta, mentre canta l’autarchica civiltà contadina lucana ormai estinta, con mosaici umani e linguistici connaturati ai tempi, ai luoghi e ai personaggi, mette anche a dimora i semi della rivisitazione letteraria delle parallele dimensioni domiciliate nella protostoria del secondo e del quarto volume e nell’era a cavallo tra il primo e il secondo millennio del terzo volume. Il primo libro nasce da personaggi reali e da realtà storiche e le sezioni Eliade ed Egea nascono dall’anamnesi remota di tentacoli glotto-linguistici e archeologici che, dall’oriente, dalla Troade e dalla Siritide, giungono alla Val Sarmento e alle zone limitrofi e vi trovano “consanguineità” consistenti.

La sezione Virgilia, al contrario delle altre sezioni, che sono struggenti romanzi d’amore in chiave storica e protostorica, è un’opera di pregio fatta di pagine antologiche e della descrizione dolorosa del viaggio nella memoria, alla ricerca della parte di passato incistata dentro e fuori del sé geografico, corporeo e spirituale. Questo terzo volume della collana, pur avendo corpo, anima e storia sentimentale travagliata, è due cose: 1- il mondo contemporaneo in cerca della sua identità passata, da incidere come sentiero guida nell’identità presente e futura; 2- l’essenza pura e semplice della ricerca assoluta dell’amore; il grido con cui l’anima chiama, cerca e, infine, trova l’amore unico, grande, sempiterno, perenne, connaturato e irrinunciabile come il respiro.

Le sezioni Eliade e Egea, completamente romanzate, s’imperniano su canoni protostorici compatibili con le vicende messapiche narrate, con i ritrovamenti archeologici e con le ricerche contenute nel saggio Una leggenda chiamata Sarmento. Cantano l’eroismo epico, la saggezza, il connubio con le forze della natura, l’epopea della ricerca della terra in cui stanziarsi, l’amore, la morte e il fato e lo fanno con un linguaggio che, pur essendo moderno e lirico, è fedele alla semantica sine qua non dei personaggi di omerica memoria, in bocca ai quali il lessico dell’era mediatica- tecnologica sarebbe ridicolo o quasi blasfemo. Tutto, nelle quattro sezioni di questa saga, è proporzionato ai tempi delle vicende raccontate, ma la nascita di quest’opera non è immaginaria e non è un caso.

I fatti, i sentimenti, il linguaggio di tutte le sezioni si uniformano ai modelli e ai principi che decretavano il destino dell’uomo dei tempi di riferimento.

Angeli in ginocchio
IL GIUDIZIO AUTOGRAFO DEL GRANDE CRITICO Giorgio Bárberi Squarotti

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IL LETTO NUZIALE

DI ANGELA

 

(PAROLE E IMMAGINI)

Foto V Perugia – testi B. Spagnuolo

Nel rituale nuziale delle comunità abbarbicate alle pendici lucane del monte Pollino, il letto nuziale aveva un ruolo molto importante. Dal libro Angeli in ginocchio (La saga del popolo messapico)- *Angela (Gli eredi dei Messapi): «Nel giorno “dei panni”, pentole e padelle di rame stagnato furono appese alla rastrelliera sul muro della focagna, le stoviglie furono messe nello stipo nuovo, che Giovanni aveva fatto fare a Giuseppe Lequerce e che odorava ancora di linfa, e i bauli furono sistemati nella camera al piano superiore.

  Vennero portati due splendidi alari in ferro battuto, i trastiellI, e delle belle tavole nuove per il letto. Mentre le donne disponevano le tavole sui trastiellI e vi sistemavano sopra il saccone, di tela di ginestra, pieno di profumati e fruscianti involucri di pannocchie, a sostegno dei candidi e soffici materassi di lana, si scambiarono un’occhiata e/…// Lucrezia si allontanò, per andare a prendere il resto della biancheria, e le donne ripresero a spettegolare, facendo commenti sul fatto che la bella Angela, nuda in quel letto principesco, con la sua bella criniera sciolta, sarebbe stata così bella da far svenire lo sposo/…//.  Un mormorio ammirato fece seguito alle parole di mamma Lucrezia. Le esclamazioni prolungate furono fugate con un gesto spazientito da Lucrezia, che rimirò il letto nuziale soddisfatta. Una delle donne disse: – Con la piega ricamata di questo lenzuolo rivoltata sopra e questi cuscini traforati e orlati di filè finissimo, l’azzurro lucido della trapunta è quasi accecante. Io non ci metterei il copriletto, anche se è le sette bellezze pure quello. -/ – Il copriletto si metterà il giorno delle nozze, quando lo cospargeremo di confetti e di monete.»

Il lenzuolo e i copricuscini nuziali, le sole cose non ricamate dalla mani virtuose della sposa ma comprate, come per le fanciulle nobili, erano una sorpresa di sua madre per Angela e insieme il simbolo speciale del valore della sposa e l’augurio di agiatezza aggiunti al corredo.
Particolare: parte laterale della piega del lenzuolo.

Il letto nuziale di Angela qui fotografato è stato allestito con la biancheria originale delle sue nozze ma in un ambiente storico non suo e su materassi e reti attuali e non sulle tavole, che nel 1941 riposavano sugli alti alari di ferro. L’altezza del letto d’epoca era (al contrario dell’altezza dei letti moderni) un pregevole espositore, che permetteva alla parte laterale ricamata della piega del lenzuolo di cadere in pieno sguardo e alla bellissima frangia elaborata del copriletto di incorniciare il letto con un tocco principesco.

Particolare: ricami centrali nella piega del lenzuolo
Particolare: ricami sulla parte centrale della piega e dei cuscini.
Sotto i copricuscini comprati, si nascondono due magnifiche coppie di cuscini ricamati da Angela (che nel romanzo non ha il nome reale) con orlo a giorno e uno stemma che circonda come una corona preziosa la lettera iniziale del nome di lei.
Due copricuscini e due coppie di cuscini ricamati corredavano ogni parure del letto matrimoniale e quelle di Angela erano tra le parure più belle che si fossero mai viste nel “giorno dei panni” delle promesse spose contadine.
Nel romanzo si dice che per lungo tempo “non si chiudeva bocca” sulla straordinarietà del corredo di Angela e ciò non era dovuto soltanto ai ricami virtuosi ma anche alla qualità sopraffina dei tessuti. Persino le sottofedere dei cuscini, infatti, come si vede in questa foto, erano state realizzate in tessuti pregiati.
Nel giorno delle nozze, sul letto degli sposi si spargeva del denaro, per augurare loro una vita prospera e priva di affanni. Gli spiccioli da mettere sul letto nuziale degli sposi erano una nota presente quasi sempre, ma le banconote erano una nota di distinzione e motivo di meraviglia. Il letto nuziale di Angela, adornato con monete e banconote destò l’ammirazione senza invidia dovuta alla profonda conoscenza dei sacrifici sodi e dignitosi dei suoi genitori giusti, onesti e amati dalla popolazione.

Le monete che il letto nuziale di Angela sfoggiò nel sabato Santo del 1941, giorno delle sue nozze, come le manciate di monetine leggere che furono lanciate, insieme ai confettini cilindrici dall’anima di cannella e al grano quando gli sposi uscirono dalla chiesa, erano la divisa monetaria del suo tempo.

Le monete che S.O.S.ROOTS sparge sul suo letto nuziale allestito nel 2021 hanno diverse provenienze mondiali e diverse “età”. Ciò ha significati vari che confluiscono, infine, in un unico significato.

Diverse sono le provenienze come diverse sono le razze mondiali e le loro etnie. Si “incontrano” tutte sul letto nuziale di una sconosciuta contadinella (che ignorava l’esistenza dei loro popoli a loro volta ignari dello sperduto angolo dell’estremo Sud italiano in cui ha vissuto Angela) e uniscono la storia dei loro popoli e delle loro fanciulle, con tutte le epopee relative e con tutti i valori che ne hanno ispirato la vita, alla storia di Angela, del suo mondo fatto di semine, vendemmie, mietiture, trebbiature, pianto, canto, e valori intramontabili.

Diverse sono le monete come diversi sono i popoli e le epoche cui sono appartenute, uno è il letto su cui sono state disseminate come uno è il mondo che fa da casa ai popoli e come una è la razza umana. Una è la “fanciulla”, di cui qui si commemora una tappa del cerimoniale nuziale, ed è una leggendaria contadina di un passato che va rubato all’oblio perché non porti con sé i ponti che servono al presente per andare incontro al futuro. Angela, che è il simbolo del suo mondo imperniato sull’abnegazione, la solidarietà e il timor di Dio, assurge a simbolo di tutte le spose degli altri tempi e altri luoghi rappresentati dalle monete e, insieme a loro, delle irrinunciabili identità da tramandare e della necessità di celebrare l’innegabile fratellanza tra i popoli della terra.

L’ultimo tocco al letto nuziale era spargere i confetti tra le monete, come augurio che la vita fosse, oltre che munifica, anche gentile e dolce con i due giovani e con la nuova famiglia che fondavano.

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IL RAMMENDO

(PAROLE E IMMAGINI)

Foto V Perugia – testi B. Spagnuolo

Era il tempo in cui le famiglie dovevano aspettare la fiera annuale, per comprare, se mancavano, gli attrezzi da lavoro, gli oggetti per la casa, qualche capo di bestiame e qualche stoffa necessaria a cucirsi o farsi cucire un nuovo abito, quando il vecchio non si poteva più rivoltare né riparare, o a confezionare i capi del corredo per eventuali figlie femmine. Anche le scarpe si confezionanavano in casa: le famiglie ospitavano il calzolaio, ogni due o tre anni, per tutti i giorni che occorrevano a confezionare le scarpe per tutta la famiglia. Tutti i membri della famiglia avevano un abito da indossare tutti i giorni e uno con cui “comparire” (cioè fare bella figura) nei gorni di festa, si sentivano ricchi e fortunati ed erano felici. Rammendare indumenti e biancheria era di vitale importanza.

Il corredo, che doveva durare per la vita, veniva integrato con la biancheria intima di lana grezza cardata, filata e lavorata ai ferri continuamente dalle donne di ogni famiglia, come calze, mutandoni invernali, maglie pesanti invernali a manica lunga e cannottiere leggere per le altre stagioni (in cui nessuno indossava camicie o camicette di cotone senza la cannottiera di lana leggera sotto, perché il sottile strato di lana isolava dal caldo, assorbiva il sudore, preveniva le polmoniti, garantiva il decoro e non arrecava offesa al pudore con trasparenze sfrontate e impudiche). Alle fiere, perciò, non si compravano indumenti né biancheria, ma solo qualche stoffa per confezionare i vestiti, che non si compravano pronti ma si confezionavano in casa o dai sarti. Non c’erano negozi di abbigliamento in giro ma c’era sempre, in ogni paese, un negozio con gli scaffali pieni di rotoli di stoffe che andavano dalle più calde alle più leggere e dalle più scure alle più sgargianti e persino “fiorate” (scisciyeatI). Quei negozi, tra le varie putiyI, erano quelli che esercitavano un inconscio fascino su grandi e piccini di ambo i sessi, perché, con i profumi tipici di ogni singola stoffa, formavano l’odore del nuovo che sapeva di opulenza e, con la gentilezza, le lusinghe, i complimenti e la galante assoluta efficienza competente dei proprietari, rendevano possibili gli acquisti improbabili, facevano luccicare gli occhi alle giovani donne e alimentavano i sogni delle future spose.

 

Da Angeli in ginocchio (La saga del popolo messapico)-*Angela (Gli eredi dei Messapi): «Il lavoro di rammendo era ritenuto arte leggera e veniva accantonato per i ritagli di tempo e per le giornate di maltempo. L’attesa della lievitazione del pane era ideale per il rammendo, perché gli indumenti da sistemare erano sempre molti e la lievitazione, specialmente nei periodi freddi, poteva durare anche fino al pomeriggio. Angela trovò un lenzuolo con un buco enorme. Non era possibile rammendarlo senza una pezza e, a pensarci bene, lo si doveva rinforzare in molti punti lisi e trasparenti. Salì al piano superiore, che dal lato sud risultava piano terra, e rovistò nel baule, tra pezze di vario colore, in cerca di pezze di tela bianca. Doveva assolutamente eseguire il rammendo con pezze dello stesso colore della biancheria e degli indumenti, altrimenti sua madre avrebbe detto che era discigneatI, senza virtù, e che avrebbe mandato in giro i familiari come il porco cinto, cioè con rattoppi non dignitosi dai ridicoli colori contrastanti.»

L’arte del rammendo era parte del sapere antico da tramandare di generazione in generazione. Era una delle doti che facevano la differenza tra una fanciulla senza virtù e disordinata (dimertI e dIscIgneatI) che era una sfortuna per lo sposo e per la famiglia nascente e la fanciulla virtuosa che, con le sue mani d’oro, sapeva come far durare a lungo la biancheria e gli oggetti della casa e, con la laboriosità e la parsimonia, moltiplicava il frutto del lavoro del suo sposo e rendeva ricca la famiglia. Dell’uomo che sposava una moglie dimertI si diceva che se anche “avesse portato il mare con le orecchie” (avesse cioè portato ogni genere di abbondanza), non avrebbe mai fatto profitto.

Il rammendo era inevitabile, perché, anche con tutte le accortezze, prima o poi i tessuti diventavano lisi e si strappavano. Rammendandoli, la donna accorta li rendeva utilizzabili per molto tempo e, se era anche virtuosa, faceva fare bella figura al marito, riparando i suoi indumenti in modo tanto garbato da renderli dignitosi e persino ammirati.

Le immagini sottostanti sono l’esempio di un rammendo virtuoso fatto a mano da Angela ultranovantenne.

Lo strappo in questa camicia da notte era sul bordo. Non disponendo di avanzi dello stesso tessuto, serviva una pezzolina di un colore che non stridesse troppo con la flanella né con il suo colore ed eccola. La pezzolina è stata applicata a mano sul retro dell’indumento e rifinita magistralmente anche sul rovescio, nonostante le mani incerte e tremanti.

E questo è il risultato sul diritto dell’orlo. I punti del rammendo fatto a mano sono garbati e “riservati” tanto che non si notavano affatto quando l’indumento era indossato.

L’altro strappo della stessa camicia da notte era più in alto del bordo. Ecco la toppa applicata sul rovescio

Ed ecco il rammendo sul diritto della camicia da notte

Il risultato nell’insieme dell’indumento intero è assolutamente irrilevante e si nota a fatica

Lo stesso discorso vale anche per le lenzuola e per tutta la biancheria della casa. Le donne virtuose rammendavano le lenzuola e le tovaglie da tavola con pezze prescrittivamente bianche e, ove possibile, di tessuto uguale, con lo stesso procedimento di rifinitura sul rovescio e di perfezionamento sul diritto usato sulla camicia da notte. Il rammendo che riusciva meno perfetto era quello degli asciugamani di lino tessuti al proprio telaio con preziosi disegni originali in rilievo, perché erano quasi indistruttibili e, quando si strappavano, era difficile avere in casa toppe dello stesso tessuto. Poteva accadere, perciò, che anche in casa delle donne più virtuose si vedesse qualcuno di quegli asciugamani con toppe di liscia resistente tela di cotone nel bel mezzo dell’esclusivo disegno del tessuto di lino. Le donne più grezze, preoccupate solo della durata e della funzionalità, chiudevano lo strappo sia nella biancheria che negli indumenti personali con qualsiasi pezza di tessuto disponibile e con cuciture grossolane, senza alcun riguardo per l’estetica. Angela era un’eccezione perché sapeva rammendare a mano con la stessa maestria con cui ricamava e, per la riparazione delle lenzuola, disponeva della macchina per cucire, la meravigliosa Singer a pedale che sua madre le aveva messo a disposizione.

Quando l’intervento di rinforzo del lenzuolo era massiccio, mettere la toppa a macchina poteva essere più veloce e accurato.

Il rammendo di qualità, però, quando era fatto a mano, non si distingueva da quello fatto a macchina, come nell’esempio qua sopra eseguito da Angela in tarda età parte a macchina e parte a mano.

Un rammendo molto importante era quello dei buchi nelle calze e nelle maglie, perché doveva essere preciso e minuto e non doveva creare increspature. La rammendatrice virtuosa prendeva con l’ago le asoline opposte della trama, le legava tra loro e chiudeva il buco ricostruendo i punti mancanti e questo era ciò che Angela aveva imparato da mamma Lucrezia, perciò riparava gli indumenti della sua famigliola e specialmente quelli del suo amato dragone in modo che sembrassero sempre nuovi. Le donne dImertI chiudevano i suddetti buchi unendo i bordi tra loro e cucendoli a punti grossolani, senza tener conto delle zone mancanti, creando delle increspature e dei bitorzoli brutti da vedere nelle maglie e fastidiosi e dolorosi nelle calze.

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IL CORREDO DI ANGELA

(PAROLE E IMMAGINI)

Foto V Perugia – testi B. Spagnuolo

Le giovani donne del passato, che non venivano chiamate “ragazze” ma fanciulle, ricevevano dai genitori una “dote”, che poteva comprendere dei terreni, del denaro e il prezioso e irrinunciabile “corredo”.

Considerando che la terra coltivabile veniva misurata in “tomoli” e che il tomolo valeva più di duemila metri quadrati, solo pochissime famiglie avevano condizioni economiche idonee a “maritare” la figlia femmina con parecchi tomoli di terra in dote e aggiungervi anche del denaro e un buon corredo. Poche fanciulle, perciò, potevano ricevere qualche tomolo di terra e del denaro e quasi tutte non ricevevano né terra né denaro, perché la famiglia non poteva privarsi di nessuna parte del poco terreno che bastava a mala pena a sopravvivere e non aveva provviste di denaro. Il corredo era una parte importante della famosa “dote”, era quasi sempre la sola cosa che le spose promesse di umili origini ricevessero ed era oggetto di accordi prematrimoniali, in cui la famiglia dello sposo poteva chiedere, in assenza di terreni o denaro, almeno un corredo importante. La richiesta poteva essere “un corredo da quattro”, “da sei” o addirittura “da dodici”, che includesse, cioè, quattro, sei o dodici capi per tipologia di biancheria (ivi inclusi capi di biancheria intima per lo sposo).

Il corredo, perciò, era la prima cosa alla quale le madri pensavano, non appena partorivano una figlia femmina, ispirandosi al detto tramandato di generazione in generazione:

Figlia femmina in fascia, panni nella cascia” (figghya fiemmInI ‘n fascI, pannI ‘nd’a cascI). 

Cominciavano a risparmiare e a mettere nella cassa ogni genere di biancheria che potesse essere destinata al corredo della figlia e alla sua futura casa, perché sapevano per esperienza che il tempo sarebbe passato in fretta e che al momento giusto non avrebbero avuto la forza economica di procurare tutto il necessario in un colpo solo. Destinavano alla bambina, da subito, ogni pezzo di tela che riuscivano a tessere da sole, se ne erano capaci, e ogni tessuto (percalle/ popeline/ lino/ flanella/ fiandra/ lino) e stoffa di ogni genere e soprattutto di tela di cotone robusto e duraturo, per le lenzuola, quando avevano qualche risparmio da spendere alla grande fiera annuale e, un po’ alla volta, le preparavano o le facevano preparare alle sarte per i capi di biancheria che, crescendo, la ragazza avrebbe ricamato per il corredo. Le fanciulle dovevano crescere caste e pure e senza grilli per la testa. Dovevano essere laboriose e “fatigatrici” (fatIgatorI), cioè saper badare alla casa, saper cucinare (sapè fa a cucinI) e saper lavorare nei campi. Le fanciulle che erano laboriose e fatigatrici ed erano anche virtuose e sapevano ricamare erano rare.

 

 

Ancor più rare erano quelle che riuscivano a trovare, al pascolo, sull’aia, a cavallo all’asino o accanto al fuoco, prima che diventasse troppo buio, la sera, i ritagli di tempo infiniti necessari alle meraviglie del corredo; di loro si diceva: “Quella fanciulla ha le mani pinte” (quila guangnonI ghead’i meanI pindI). Angela, che non era solo una delle fanciulle con le mani pinte, era brava nei lavori contadini alla pari di un uomo, si prendeva cura della casa come le donne più virtuose, sapeva tagliare e cucire la biancheria e i capi di vestiario femminili e maschili, fare le maglie e le calze, tessere al telaio, rammendare in modo raffinato, ricamare, lavorare all’uncinetto e fare pizzi e merletti.

come un angelo, era una leggenda.

Il sogno di ogni sposa era avere un baule nuovo, di quelli foderati con il coperchio bombato e di potervi conservare della biancheria ricamata da mostrare a tutti con orgoglio. Memorabile è il giorno in cui Angela può comprarsi non uno ma ben due di quelle meraviglie (pag. 272-273 del libro Angeli in ginocchio -La saga del popolo messapico -*Angela -Gli eredi dei Messapi).

Angela non è più su questa terra e, insieme alla sua vita, sono andate perdute le ricchezze innumerevoli del suo corredo, ma… i suoi bauli ancora racchiudono qualcuna delle meraviglie che hanno lasciato ammirate e sbalordite le anime semplici degli invitati, nel momento del cerimoniale nuziale che va sotto il nome di “giorno dei panni”.

Il passato è fuggito ma… il vento narra e narrerà sempre la storia di Angela; la mormora e la mormorerà sempre e ovunque, così che i valori di cui era intriso il suo mondo non muoiano, perché sono parte delle radici della sopravvivenza umana…

Cuscini e lenzuolo con ricami e merletto
Cuscino- particolare
Lenzuolo e cuscini con merletto f. a mano
Cuscini con ricamo rosa e lenzuolo
Cuscini con orlo a giorno ricamato a mano
Orlo a giorno particolare
Camicia da notte nuziale in tela di puro e resistente cotone
Coulotte della camicia nuziale
Camicia da notte della settimana della sposa (i giorni in cui la sposa non usciva, finché, nella festa chiamata “in capo dell’otto”, cioè all’ottavo giorno, usciva da maritata per la prima volta e, con lo sposo, si recava in visita dai suoi genitori e veniva ricevuta in festa e con benedizioni.
parure cuscini lenzuolo

LE MERAVIGLIE DELLE VIRTÙ DI ANGELA

Questo è l’“imparaticcio” storico di una bambina del 1919/ le pezzoline su cui Angela ha imparato i primi rudimenti del ricamo, da ragazzina
Due dei ricami storici di Angela sopravvissuti a un secolo di lavaggi

I centrini e le pezzoline trasformate in cose preziose

I pizzi e i merletti che tra le campagnole non si erano mai visti e che resero leggendaria la fama di Angela

e… dulcis in fundo: le raffinate calze per lo sposo tessute a mano e legate insieme, con l’ultimo filo di lavoro, per evitare di spaiarle…

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FOTOGRAFIE DALLA GUERRA

La gioia del matrimonio svanì e l’incertezza e l’angoscia ne cancellarono persino il ricordo. Per angela iniziò il tempo dell’attesa, delle privazioni e del dolore.

Dal libro *Angela (gli eredi dei Messapi):

 

«Come piccoli granelli di polvere, nell’universo degli eventi catastrofici che scossero il mondo, Angela e Gaetano si persero completamente di vista. Lei rimpianse il tempo in cui le bastava scrivere sulla busta “dragone Borbone Gaetano, quarto battaglione, posta militare, Roma” e imbucare le lettere perché lui le ricevesse. “Ti amerò sempre” lui le aveva detto, mentre si allontanava. Lei cercava di lenire la disperazione, richiamando quelle parole alla memoria ripetutamente, quando le notizie che carpiva alIa gente buona del paese non facevano che lacerarle il cuore.»

Nella sua casa esposta alle intemperie Angela sfidava il fischio tagliente della tramontana e le tempeste violente del ponente che infuriavano attorno al suo corpo e ancor di più nel suo cuore tormentato dal timore che il suo dragone potesse perire in guerra. “Signore, salvalo!”, pregava, “Se lui si trova a destra, fa’ che le bombe cadano a sinistra e viversa… Fa’ che torni e che torni mio fratello e tornino tutti i figli di mamma.”
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Dietro la finestra, che tanti cuori infranti avevano desiderato veder aprirsi, durante le molte serenate, nel quarto a lei destinato, sul lato Est della casa, Angela dormiva sonni abitati da incubi e preghiere. Il forno accanto all’ingresso aveva dimenticato i profumi e le abbondanze sfornate per il matrimonio di Angela e Gaetano; non ardeva più per celebrazioni e feste e tristemente si riempiva di pagnotte, nelle rade panificazioni della sopravvivenza.

E… tempo giunse in cui il conflitto deflagrò come un incendio inarrestabile, chiudendo Angela e il suo mondo fuori dal mondo, in attese eterne senza più spiragli.

 

Fu il dopoguerra a dare, con le fotografie di fortuna, consistenza documentale ai racconti occasionali dei sopravvissuti.Quelle sottostanti furono ciò che della guerra Angela trovò nella valigia di Gaetano.

Campagna dei Balcani/ritorno dal fronte. Nella foto Gaetano è il secondo in piedi, da destra.
Scritta sul retro della foto : “Ricordo del giorno 9 dicembre 1941. Primo attacco ai ribelli, ci sono stati tre feriti.”
Campagna-dei-balcani. Gaetano è il-primo,da-destra, con un ginocchio a terra,in-basso.
Campagna dei Balcani/ postazione mitraglieri. Gaetano è tra i soldati del turno di notte, che stanno recuperando qualche ora di sonno e si sollevano da terra per la foto. È il secondo da destra, dietro.
Gaetano era un cavaliere capace di eseguire acrobazie incredibili, sul cavallo e con il cavallo, e di galoppare in gara con il vento. Era un intenditore di cavalli, con i quali stabiliva una sintonia perfetta e saltava ostacoli leggendari. Ha vinto varie gare ippiche e anche una medaglia d’oro per il salto agli ostacoli. A dx: retro di questa foto.
Sul retro si legge: Bihac. 17. 3. 42, Cavallo Soriano La scritta nera cancellata fa pensare a un lapsus sul nome del cavallo, il resto è illeggibile. Bihac oggi è nella Bosnia Erzegovina.

Nella campagna dei Balcani Gaetano venne insignito di una Croce di Guerra per la campagna di Albania, una per quella di Grecia e una per quella di Jugoslavia, tre CROCI DI GUERRA, che lui non esibì mai nella sua vita e conservò per decenni, finché, dalla scrivania del suo ufficio in Comune, qualcuno le trafugò per esibirle eventualmente e ricavarne gli emolumenti che Gaetano non aveva mai richiesto. Lui era così: un generatore di energie e un polo di fratellanza umana, un idealista e un sognatore che non attribuiva gran valore ai beni materiali. Al momento del congedo, a nome della patria, gli venne consegnato un assegno senza scadenza, da pagare a vista, emesso il due dicembre del 1944, a Torino, dalla Banca d’America e d’Italia, per un importo di L. 500. Quella cifra, con cui si ricompensava lo sconvolgimento totale della vita, i patimenti e il rischio quotidiano di morte, valeva un quarto degli stipendi medi di quel tempo che, nelle grandi città del Nord italiano, si aggiravano attorno a L.2000, e anche un quinto o meno dei salari degli operai specializzati. Gaetano avrebbe potuto realizzare, comunque, qualcosa di importante con quel denaro, perché nel Sud, invece, valeva una fortuna, ma… lui ricevette l’assegno come un riconoscimento, lo piegò con riguardo, lo mise nel portafogli e lo tenne sul cuore per tutta la vita, come un pezzo della bandiera che aveva servito senza chiedere né aspettarsi nulla in cambio.

Lì lo trovò sua figlia, che lo incorniciò e lo appese alla parete del suo studio, quando un malore improvviso recise la vita di Gaetano, a sessantotto anni.

Questa è una delle foto date a Gaetano in segno di stima da un ufficiale, che firma la foto sul retro, come si vede qui accanto.
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Retro della fotografia.
Questa foto Gaetano la riceve dagli amici, il cui nome viene doverosamente immortalato sul retro, come testimonianza della loro esistenza in vita in quel momento, a dispetto della sopravvivenza incerta del domani.
Retro della foto degli amici.
Questa foto non ha nome, ma viene chiaramente affidata a Gaetano perché la consegni al recapito scritto sul retro.
Retro della foto con destinatario.
Questa è una doppia foto con scritta sul retro di entrambe, con probabile tacito accordo di consegnarne una alla famiglia, in caso di morte in guerra.
Retro della prima foto. Noi non sappiamo quale dei soldati nella foto sia Bellettino Giuseppe di Trevigno, ma è sicuramente uno dei soldati a cavallo, dato il riferimento alla cavalla Tressa.
Seconda foto di Bellettino Giuseppe.
Retro della seconda foto di Bellettino. La scritta dice: “Gruppo di dragoni combattenti dell’Albania. Fatta la fotografia a Tirana.
Foto da consegnare alla famiglia di uno dei soldati fotografati, che sono del Sud italiano come Gaetano e sicuramente suoi conoscenti ma appartenenti ad altra arma. Posano i soldati, per essere immortalati come vogliono essere ricordati, perché per gli uomini in guerra le foto assumevano il ruolo vitale di sentinelle della loro identità, di lascito per le famiglie e di testimonianza per il futuro. Dalla scritta sul retro si capisce che l’interessato avrebbe voluto mandare ai suoi cari una foto memorabile.
Retro della foto accanto. Molti soldati imparavano il meccanismo della scrittura sotto le armi, dove qualche sergente alfabetizzato formava vere e proprie classi di allievi, che, in seguito, con grande orgoglio scrivevano alle famiglie in un dialetto italianizzato, sentendosi eruditi e non c’è da meravigliarsene, perché erano tempi in cui la gente che firmava con la croce era numerosa in tutte le classi sociali. Colui che destina la foto alla famiglia dice: “Questi sono i paesani che ho qui (con me), tanti. Ve la mando (questa foto) per farvi vedere come le fanno qui le fotografie, che fanno schifo” e aggiunge qualcosa che sembra equivalere a “tanto che non le puoi mostrare a nessuno”.

Consegnare le foto ad altri e scambiarsele con più commilitoni significava aumentare le possibilità che la famiglia ricevesse notizie dal fronte e rappresentava anche una sorta di scaramanzia che somigliava a un’inconscia assicurazione sulla vita o almeno sul ricordo che si voleva lasciare di sé. Le foto consegnate a Gaetano rimasero tutte nella sua valigia. Preso nell’ingranaggio bellico, passò dai Balcani alla Francia, visse lo sfascio generale dell’esercito lasciato allo sbando tra nemici occupati e alleati occupanti diventati nemici. Salvò se stesso, il suo cavallo, i suoi commilitoni e raggiunse i confini nazionali, per attestarsi sul fronte della patria da servire. Non consegnò mai le fotografie che gli erano state affidate e lui stesso non riuscì a comunicare con la sua famiglia; fino al 1945 visse in una sorta di limbo nel quale ogni ora di sopravvivenza era il solo presente da vivere senza aspettarsi un futuro.

Foto doppia, una da consegnare e una da tenere per ricordo.
Retro della doppia foto
Francia- Gaetano è il quarto da destra.

Sul retro Gaetano ha scritto soltanto “Francia”, il suo nome e vi ha aggiunto “e compagni”.

Francia- Gaetano è il terzo da destra in piedi
Retro: “Gruppo vecchi mitraglieri del Genova Cavalleria.”
Gaetano è a destra in piedi

Gaetano fuggì a cavallo dalla Francia, con i suoi commilitoni. Laceri, sfiniti e affamati, a Giaveno furono aiutati e rivestiti dalla comunità, poi entrarono a far parte della metamorfosi dolorosa con cui l’Italia passò dalla guerra di aggressione alla guerra di liberazione, attraverso il comitato di liberazione nazionale simile a un corpo unico dalle membra sparse sul suolo patrio. Braccati dai Tedeschi e costretti alla macchia, agivano di notte e si nascondevano di giorno. Le famiglie mandavano, con grande rischio per la vita, le donne a svolgere incombenze fuori dell’abitato, con gli avanzi del pasto delle loro famiglie nascosti nei cestini. Accoglievano quel cibo fortuito e irregolare come la vera mano della Divina Provvidenza e, spesso, non avevano neppure il tempo di mangiarlo, per sfuggire alla caccia spietata dei Tedeschi. Lo nascondevano freneticamente nelle bisacce della sella o dovunque riuscivano a infilarlo. Coloro che sopravvivevano lo mangiavano di notte, alla cieca, nel buio dei meandri in cui si nascondevano, e spesso, come Gaetano ebbe a raccontare a guerra finita, insieme al cibo mangiavano anche qualche cimice o altri insetti che vi finivano dentro; quando altro non avevano, per non morir di fame, mangiavano le durissime faggiole delle frondose faggete. La storia del periodo che Gaetano passò in Piemonte ha pagine avventurose e aspetti agghiaccianti che Angela scoprì soltanto quando tutto finì. Dal libro “*Angela (Gli eredi dei Messapi)”: «Ho visto giovani morire nel fiore degli anni. Ho visto l’asfalto tingersi del sangue dei miei compagni, quando scendevamo dalla montagna e colpivamo i Tedeschi prima di sparire di nuovo nella macchia. Ho visto i miei amici crivellati come carne sanguinolenta. Ho visto giovani saltare a brandelli, con bombe e granate. Ho vissuto momenti in cui la vita non valeva neppure un bastone vestito. Ma quello che mi ha veramente segnato e che torna nei miei incubi è qualcosa che l’essere umano, in quanto tale, non dovrebbe essere capace di concepire. Ho sempre saputo che le guerre sono brutte e che in guerra si muore, ma ho sempre pensato che morire per la patria dovesse essere un gesto eroico altamente dignitoso. Scoprire che alcuni esseri umani possono usare persino l’inventiva per dare ad altri esseri umani la morte in modo atroce e spaventoso ha spento qualcosa dentro di me. Ho avuto paura di morire durante tutta la guerra, ma, in Piemonte, ho dovuto fare i conti con un altro tipo di paura, una paura subdola che assomigliava alla voglia di vomitare. Gli atti di eroismo sono, in genere, atti di coraggio, questo è ciò che pensano tutti; per me, gli atti di eroismo furono tutti i momenti in cui dovetti espormi al pericolo di morire in modo obbrobrioso. Vedi, avere coraggio vuole dire non avere paura di morire o, meglio, ignorare la paura di morire e accettare l’idea della morte, ma l’idea della morte in guerra ha a che vedere con il dovere verso la patria e verso tutto ciò che la patria contiene. Ciò rientra nelle regole e nelle leggi della guerra stessa. I soldati delle parti avverse si fronteggiano, ammazzano il nemico in battaglia o lo tengono prigioniero quando lo catturano. Questo è ciò che si sa, quando si va in guerra, perciò si pensa che il nemico sia uno come te e che la peggiore cosa che ti possa fare sia fucilarti. Scoprire che può fare cose indicibilmente atroci e che può persino godere nel farle è qualcosa che ti cambia dentro per sempre. Io ho sempre fatto il mio dovere senza odiare il nemico, ma /…/».

Chiudo questo approfondimento con l’immagine che avrebbe dovuto iniziarlo. Gaetano è il primo in basso a destra. Questa foto è stata scattata prima del 10 giugno 1940, a Roma, dove i dragoni conducevano una vita piacevole, tra il servizio e la libera uscita, ancora ignari di ciò che sarebbe accaduto. Era il tempo in cui Gaetano non era ancora sposato e si rifiutava di pensare che l’Italia sarebbe entrata in guerra o forse, proprio pensando alla guerra, uniformava la sua vita al “chi vuol esser lieto sia del doman non v’è certezza”. Quando il congedo giunse, infine, i soldati che si accinsero a tornare ”a casa”non erano più le persone che ne erano partite e non sapevano che cosa vi avrebbero trovato.

La guerra era finita… La pace ritrovata dovette aleggiare a lungo prima di aprirsi un varco tra le popolazioni mondiali circondate dalle rovine, afflitte dalla miseria, trafitte dal dolore per i caduti e destabilizzate dall’ignoto destino dei dispersi.

Il mondo “liberato” si avvolse in cieli dalle realtà conosciute frantumate. Le masse e i singoli dovettero fare i conti con le ombre note e ignote che il passaggio della guerra aveva lasciato fuori e dentro di loro. Angela e Gaetano non fecero eccezione…

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